giovedì 25 luglio 2013

E se Milano non fosse mai cambiata?

Era l'inizio degli anni di Piombo. Milano era stata da poco rigirata come un calzino dalla strage di Piazza Fontana nel '69 e, da li a poco, sarebbe stata nuovamente rivoltata dall'esplosione nella Questura di Via Fatebenefratelli. Tutte operazioni a sfondo politico, ben organizzate.
Sono nata nel milanese nel 1965, ero troppo piccola per ricordarmi di Valpreda, Pinelli, Freda, Ventura, del Commissario Calabresi, del Ministro Rumor e di Gianfranco Bertoli. Però mia madre se lo ricorda bene: abitavamo ad appena 2 km da entrambi i luoghi colpiti e i giornali non parlavano d'altro.
Si leggeva di tutto, ma niente che ci toccasse da vicino. Insomma, l'intera città era sotto choc e nel profondo tutti erano stati colpiti. I 140 feriti e 21 morti delle due stragi ci sembravano un'inutile esagerazione, tralasciando ovviamente la bomba esplosa alla fiera campionaria e quella inesplosa alla stazione centrale a quattro anni dalla mia nascita.
Mio padre leggeva, commentava, ne chiacchierava con mia madre, poi la cosa finiva lì. E' brutto da dire, ma quando in mezzo a queste cose non c'è nessuno che conosci, dopo un po' la notizia di scivola addosso. Ed è giusto così, altrimenti sopra le nostre teste avremmo un malloppo di fatti altrui con l'unico scopo di schiacciarci a terra.
Un giorno, però, qualcuno sul Corriere della sera l'abbiamo riconosciuto.

A 8 anni frequentavo un bar distante nemmeno tre metri dalla porta del mio palazzo. Detto così sembra che andavo giù a bere e giocare a carte come gli anziani! In realtà andavo a trovare la figlia dei proprietari, poco più grande di me, e a prendere un gelato. Ero di casa. Mi vedevano praticamente sempre.
«Ciao Carla». Allora io salutavo, sorridente.
«Ciao!».
Un giorno, stessa scena: scendo dalle scale di casa, apro il portone, faccio due passi e mezzo, entro nel bar e trovo un diversivo. Anzi no, in realtà non me ne sono accorta subito. L'ho notato solo quando si è avvicinato a me per parlarmi.
«Hai un viso stupendo. Sono un pittore sai? Mi piacerebbe molto farti un ritratto».
Cercavo di sorridere gentilmente, mentre con le testa negavo a quell'uomo sulla sessantina l'opportunità di usarmi come soggetto per un suo disegno.
«Grazie, ma no».
«Hai dei lineamenti prefetti per posare. Ritraggo spesso la gente, mi piacerebbe farlo anche a te».
«Davvero, grazie, ma non mi interessa».
Dai, quale signore va da una bambina sola a chiedergli se può farle un ritratto?
«Abito qui vicino, ci vorrebbe pochissimo. Mi basta appuntarmi la base, dopo di che potrei proseguire da solo. I pittori hanno un'ottima memoria fotografica»
Continuavo a dirgli di no.
I proprietari del bar, tra una tazzina e l'altra, lo fissavano.
«Sicura? Ci vorrebbe davvero poco».
«Non posso allontanarmi da casa».
«Oh, ma abito proprio qui vicino!»
Nel frattempo qualcuno doveva essere andato a citofonare a mia madre perché, dopo nemmeno due minuti, è arrivata e mi ha portata a casa.

Lei non è mai stata famosa per la sua memoria, ma sono certa che aveva osservato a lungo quell'uomo dai capelli lunghi e grigi prima di prendermi per mano e tornare a casa insieme a me, altrimenti non l'avrebbe mai riconosciuto.
Tre giorni dopo, tra le notizie principali del Corriere della sera, sbucò la foto del pittore, accusato di aver ucciso un bambino della mia età.
Ecco, quella notizia sì che ci toccò da vicino.
 
Aveva cercato di adescarmi? Se i baristi si fossero fatti gli affari loro, probabilmente sarei finita per accettare l'offerta. E poi? Poi probabilmente sul quotidiano milanese avrebbero parlato di me, una bambina di otto anni, uccisa da un uomo nella sua abitazione. O forse no. Forse il non accettare caramelle dagli sconosciuti sarebbe prevalso ugualmente sulle mie scelte, riportandomi dalla mia mamma, nel mio palazzo di via Tito Vignoli. Ma era una Milano diversa. Una Milano più compatta, più vecchia e più solidale. Tralasciando il fatto che all'interno del bar tutti mi conoscevano, sono certa che se accadesse ora tanta gente si girerebbe dall'altra parte, disattenta, riservata, con un occhio sul giornale e uno sul caffè. Ma era l'inizio degli anni '70. Tutta un'altra cosa!




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